Smart working, opportunità ai tempi del coronavirus

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Il coronavirus si è diffuso oramai in tutto il mondo e si sta cercando di contenere il contagio anche attraverso nuove forme di socialità e lavoro come lo smart working. Nessuna nazione è esclusa, meno che mai l’Italia, travolta da un picco di contagi che non tende a diminuire. 

Aziende di svariati settori sono state chiuse e restano aperte solamente alcune, necessarie al funzionamento dei servizi base per la vita quotidiana. Milioni di persone costrette a stare a casa non si sono fermate e hanno continuato a lavorare, anche se in modalità smart working. 

COS’E’ LO SMART WORKING

Smart working, una parola diventata di uso comune in queste settimane e che rappresenta una novità per il nostro paese dove è stata poco sperimentata e utilizzata, vuoi per un gap innovativo, vuoi per un timore di non produrre.

Smart working è un lavoro che permette la flessibilità, la scelta degli spazi di lavoro e degli orari che, inevitabilmente, dovrà portare gli stessi risultati del lavoro classico. In sostanza, cambia il rapporto fra il singolo e l’azienda e, di conseguenza, nasce una autonomia lavorativa con un’attenta organizzazione di modalità e attività. 

Un processo di cambiamento che deve tener conto di diversi fattori per poter produrre risultati efficienti ed efficaci. 

COME PRODURRE RISULTATI

In primo luogo, stilare gli obiettivi da raggiungere, le priorità e le criticità

Con lo smart working si lavora meglio? Si raggiungono risultati migliori? Il benessere è maggiore? Oggi vien difficile ragionare in assenza di alternativa. Sicuramente al lavoratore è richiesta capacità di trovare equilibrio tra lavoro e vita quotidiana, connubio importante e tema storico di discussione. Non solo, ci vuole la capacità del singolo nell’utilizzo dei dispositivi e un ripensamento del rapporto fra individui e organizzazioni. 

DIFFERENZE CON TELELAVORO

Va detto che c’è grande confusione anche sui termini. Si parla spesso e si legano spesso telelavoro e smart working che però differiscono principalmente per il luogo in cui deve essere svolta l’attività lavorativa. Proviamo a vedere qualche generica differenza: se nello smart working l’attività viene svolta in qualunque posto al di fuori della sede aziendale, nel telelavoro, invece, la postazione di lavoro è decisa e, generalmente, inserita a contratto. Se la sede prescelta è la propria casa, quella deve rimanere l’unica nel quale la persona lavora. Non solo, è stabilito da contratto anche quante siano le ore di effettivo lavoro.  Nello smart working il lavoratore non ha vincoli orari, ma deve raggiungere il suo obiettivo entro una data stabilita da contratto o accordo scritto. 

Parlare di obiettivi è un cambio culturale che investe tante aziende e dirigenti che hanno sempre ragionato in termini di redditività in base alle ore d’ufficio. Ora tutto viene travolto.

Domenica Masi, professore di sociologia del lavoro presso l’Università La Sapienza di Roma, sostiene che il covid-19 stia facendo scoprire agli italiani, e ai lavoratori in generale, il fenomeno dello smart working e che – continua il sociologo – sarebbe stata un’opportunità cogliere questo fenomeno già da 30 anni. Con queste tipologie di lavoro, continua De Masi, si sarebbe potuto limitare il contagio e, sicuramente, sarebbe aumentata la produttività del Paese del 20 per cento riuscendo addirittura a evitare spreco di denaro per questioni anche di carattere logistico (come ad esempio il doversi spostare da una sede all’altra). De Masi entra più nello specifico – facendo una valutazione sociologica – sostenendo che fra lavoratore e datore di lavoro ci sia un rapporto quasi patologico. Ad esempio, quest’ultimo vuole avere il controllo di tutto ciò che fa il dipendente. 

Oggi non c’è scampo: un fatto impensabile ha accelerato i processi. Ora dobbiamo fare i conti con lo smart working. Chissà che non sia un’occasione positiva per il mondo del lavoro, nonostante tutto.

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